“La Nuova Ascoti fa proprio il grido di dolore e l’allarme della Fnomceo contro la possibile Autonomia differenziata. Dolore nella costatazione di un diritto costituzionale alla salute gestito in 21 modi diversi dalle attuali regioni, e allarme per un tentativo nemmeno tanto velato di far saltare il principio fondamentale dell’equità di accesso alle prestazioni e l’equità di partecipazione alla spesa secondo capacità. Non bastano le rassicurazioni delle ultime ore da parte del premier Conte”. Ad affermarlo è l’on. Michele Saccomanno, presidente del sindacato degli ortopedici della Nuova Ascoti.
“Sul piano generale, oggi questo è stato assicurato mediante il fondo perequativo previsto dal D.Lgs. 56/2000. Le regioni che hanno maggiore capacità fiscale contribuiscono al fondo che viene ripartito fino alla copertura del fabbisogno delle regioni con minore capacità. Una spinta verso l’autonomia differenziata potrebbe mettere a rischio tale garanzia di solidarismo e universalismo sebbene ancora non completamente garantito. Senza pensare “al passo del gambero”, aggiunge Saccomanno.
“Il sistema dovrebbe tendere a coprire il fabbisogno ma il fabbisogno è determinato in funzione di ciò che lo stato intende finanziare. Annualmente il Def prevede un importo e il bilancio non lo finanzia interamente. Ciò comporta un trasferimento di oneri a carico dei cittadini (oggi oltre 40 miliardi) molti dei quali sono costretti a rinunciare alle prestazioni. Nel Def di giugno 2018 per l’anno 2019 erano stati previsti 116.382 miliardi e in bilancio sono stati appostati 114.439”, sottolinea il presidente del sindacato degli ortopedici.
“Altro problema è il riparto fra le regioni di questo finanziamento che nel corso di 20 anni ha causato non poche discriminazioni col sistema del calcolo del fabbisogno di un 40% circa in base all’accesso alle prestazioni per classi d’età. Tale modalità non è cambiata con l’introduzione dei costi standard ed ha penalizzato le regioni più giovani, anche se negli ultimi anni il divario si sta riducendo. Purtroppo, non si è mai riusciti a far introdurre un criterio che tenesse conto delle condizioni socio economiche che erano prevista dalla legge 662 del 1996: il bisogno varia in funzione del reddito, dell’istruzione, dell’ambiente ecc. condizioni che possono essere riassunte nello stato di deprivazione. E’ quasi miracoloso, infatti, che il sistema italiano sia ancora considerato uno dei migliori al mondo nonostante grosse criticità”, ricorda il presidente Saccomanno che conclude:
“Riassumendo il rapporto Gimbe e le osservazioni di Fnomceo, possiamo affermare che per evitare il peggio serve bloccare il definanziamento del SSN e mantenerlo in percentuale costante rispetto al PIL; integrare le politiche della salute con quelle dell’ambiente, industria, agricoltura; promuovere politiche socio-sanitarie; rendere più periodici e dinamici gli adeguamenti dei LEA (quelli del 2001 sono stati modificati nel 2017 e non sono ancora riconoscibili per mancanza delle tariffe); rivisitare la compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini; assicurare maggiore integrazione pubblico – privato; incentivare maggiormente la ricerca; contrastare il consumismo spesso dovuto ad eccessiva enfasi su talune prestazioni; perseguire l’uniformità della assistenza territoriale oggi molto differenziata nei setting e nelle tariffe; contrastare sprechi e inefficienze. Resta fondamentale un sistema solidaristico che garantisca per tutti un dignitoso diritto alla salute, conservando anche il diritto ad uguali percorsi di formazione per gli operatori sanitari di ogni regione”.