Il Parlamento Europeo si è pronunciato sulla revisione dei requisiti minimi in materia di organizzazione dell’orario di lavoro
E’ stato chiesto di limitare a un massimo di 48 ore la durata media settimanale di lavoro in tutti gli Stati membri respingendo la possibilità di derogarvi (opt-out) sostenuta dal Consiglio. Il Parlamento propone poi di considerare come orario di lavoro anche i periodi di guardia ’inattivi’, ammettendo però che siano calcolati in modo specifico ai fini dell’osservanza del massimale settimanale. Una decisione che riguarda anche i medici, che si erano battuti contro la revisione, convinti che le modifiche, fra gli altri rischi, mettevano a repentaglio la sicurezza dell’assistenza sanitaria. La direttiva 2003/88/CE1 stabilisce requisiti minimi in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, tra l’altro, in relazione ai periodi di riposo quotidiano e settimanale, di pausa, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali, nonché relativamente a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.La stessa direttiva prevede una clausola di revisione cui si e’ attenuta, nel 2003, la Commissione. Il Parlamento si e’ pronunciato in prima lettura nel 2005, ma il Consiglio non e’ stato in grado di definire una propria posizione in materia fino allo scorso mese di settembre (con il voto contrario di Spagna e Grecia e l’astensione di Belgio, Cipro, Malta, Portogallo e Ungheria). Seguendo la linea suggerita dal relatore, Alejandro Cercas (spagnolo del gruppo Pse), il Parlamento ha approvato a larga maggioranza una serie di emendamenti (già sostenuti nel corso della prima lettura) che respingono l’impostazione del Consiglio, in particolare, per quanto riguarda la possibilità di derogare al tetto massimo di 48 ore lavorative settimanali e il rifiuto di considerare come lavoro il tempo speso in periodi di guardia.
Su segnalazione di Francesco Fadda.