Roma, 17 marzo 2022 – Comunicato stampa della FEDERAZIONE CIMO-FESMED
La nuova organizzazione della sanità territoriale disegnata dal DM 71 è accattivante e ambiziosa. Grazie ai fondi europei costruiremo le strutture, acquisteremo le tecnologie e ammoderneremo quelle già esistenti. Ma poi dovranno essere lo Stato e le Regioni a pagare gli stipendi del personale che vi opererà. Eppure, calcolatrice alla mano, i conti non tornano: l’aumento delle risorse da destinare nei prossimi anni al personale sanitario che opererà sul territorio non è sufficiente a coprire i costi previsti. Il rischio di riempire il Paese di nuove Case e Ospedali di Comunità che poi non siano in grado di funzionare perché carenti di personale e tecnologie è dunque dietro l’angolo.
È allora comprensibile la richiesta delle Regioni – che hanno posto alcune condizioni all’approvazione del DM 71 – di attuare progressivamente gli standard e i modelli organizzativi previsti dal decreto “attraverso un’adeguata implementazione e potenziamento del fabbisogno del personale necessario, dipendente e convenzionato, ed un’adeguata copertura finanziaria”. Risorse che devono essere stabili nel tempo per poter sostenere i costi del personale assunto.
Ma di che cifre parliamo? Il documento prevede un infermiere di famiglia e di comunità ogni 2.000-3.000 abitanti: significa assumere 20.000-30.000 infermieri. Sottraendo i 9.600 infermieri previsti dal decreto “Rilancio”, rimangono 10.400-20.400 infermieri di famiglia e di comunità. Il costo medio di un infermiere, comprensivo degli oneri riflessi, è pari, secondo il Conto annuale del 2019, a 45.539 euro. Assumere 10.400 infermieri, costa dunque oltre 473 milioni di euro l’anno; l’assunzione di 20.400 infermieri vale circa 929 milioni di euro.
Nell’ultima Legge di Bilancio, per coprire i costi relativi al personale dipendente e convenzionato da assumere, è stata autorizzata, a valere sul finanziamento del SSN, la spesa di 90,9 milioni di euro per l’anno 2022, di 150,1 milioni di euro per l’anno 2023, di 328,3 milioni di euro per l’anno 2024, di 591,5 milioni di euro per l’anno 2025 e di 1.015,3 milioni di euro a decorrere dall’anno 2026. Ma oltre agli infermieri, nelle strutture di comunità opereranno medici, altri professionisti sanitari, OSS, personale amministrativo e di supporto. Appare evidente, dunque, quanto tali previsioni di spesa risultino insufficienti.
In teoria, dovrebbe essere la riorganizzazione dell’assistenza sanitaria a produrre i risparmi necessari (stimati in 850 milioni l’anno) a finanziare il funzionamento delle nuove strutture. Si parla ad esempio della riduzione dei ricoveri in ospedale e degli accessi inappropriati in Pronto soccorso. Ma i risparmi, se ci saranno, non potranno che essere marginali e di certo non raggiungeranno la cifra prevista: sono infatti i farmaci innovativi, le alte tecnologie e le chirurgie le voci che influiscono maggiormente sui costi degli ospedali; non saranno la diminuzione di codici bianchi in Pronto soccorso o il trasferimento dei pazienti cronici dall’ospedale al territorio a poter finanziare il personale delle strutture di comunità, considerando che l’attuale organizzazione ospedaliera in termini di risorse umane e tecnologiche è già minima e non può in alcun modo essere ulteriormente ridotta.
È insomma impensabile collegare la sopravvivenza delle Centrali Operative Territoriali e delle Case e Ospedali di Comunità alla mera ipotesi di risparmi prodotti da strutture ospedaliere già in affanno sotto numerosi punti di vista, a partire dalla carenza di personale, che dovrebbero essere affrontati dalla revisione del DM 70. Una riforma che a sua volta necessita di finanziamenti e che, per poter dar vita ad una vera logica di filiera della salute, dovrebbe andare di pari passo con il PNRR ed il DM 71 e non viaggiare in autonomia.
Occorre dunque immaginare sin da adesso una rivalutazione del Fondo Sanitario Nazionale che consenta di sostenere nel tempo i costi delle strutture, del personale e delle tecnologie, evitando di dar vita a organizzazioni non autosufficienti che costringerebbero i cittadini a continuare a rivolgersi agli ospedali anche per le necessità di salute più banali: in tal senso, è allarmante l’eliminazione dall’ultima bozza del decreto dell’elenco degli strumenti necessari a monitorare i pazienti ricoverati negli Ospedali di Comunità. Va poi previsto un piano straordinario di assunzioni anche all’interno degli ospedali, migliorando le attuali condizioni di lavoro per incentivare i professionisti a lavorare nel sistema sanitario pubblico. Infine, auspichiamo un immediato confronto sulla revisione del DM 70. Quella del PNRR è un’occasione unica. Non sprechiamola.