L’Indennità per le ferie non godute è nell’ambito delle dinamiche lavorative e delle relazioni tra datore di lavoro e dipendente, una questione non di poco conto. Alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione inducono a ritornare sul diritto del lavoratore subordinato alle ferie annuali retribuite e sui conseguenti oneri del datore di lavoro . Le ferie costituiscono un diritto irrinunziabile del lavoratore secondo il dettato dell’art. 36 Cost., comma 3 e, al pari del riposo, possono farsi rientrare nella tutela della salute e sicurezza del lavoratore , essendo qualificati alla stregua di diritti assolutamente indisponibili . Alcune amministrazioni hanno posto delle resistenze al loro pagamento. Infatti, nel caso di mancata utilizzazione delle ferie è prevista un’indennità sostitutiva delle ferie che è centrale per garantire la tutela dei diritti dei lavoratori. Un’importante pronuncia della Corte di Cassazione, emessa con l’ordinanza del 27 novembre 2023 n. 32807, sez. lavoro, ha delineato chiaramente che nessun valore di rinuncia all’indennità sostitutiva delle ferie può essere automaticamente attribuito alle dimissioni del lavoratore.
La pronuncia della Cassazione si inserisce in un contesto giuridico che pone al centro la salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di risoluzione del rapporto di lavoro. L’indennità sostitutiva delle ferie è, infatti, una componente essenziale di questo quadro normativo. Rappresenta il compenso economico riconosciuto al dipendente per le ferie maturate e non godute al momento della cessazione del rapporto.
L’ordinanza in esame ha origine da un ricorso avanzato da un sanitario, il quale aveva visto negato il diritto all’indennità sostitutiva per un periodo di 157 giorni di ferie non fruite al momento della conclusione del suo rapporto di lavoro. La richiesta è stata respinta sia in prima istanza che in appello, nonostante i giudici abbiano fornito ragionamenti divergenti nel giustificare tale esito.
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha accolto il ricorso presentato da un dirigente medico dipendente di una ASL. Il ricorrente contestava la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila numero 150/2018 che, in linea con quanto stabilito dal Tribunale di Pescara e seppur adottando un ragionamento diverso, aveva respinto la sua richiesta volta all’ottenimento di un’indennità sostitutiva per 157 giornate di ferie non godute al momento della risoluzione del rapporto di lavoro avvenuta il 30 aprile 2015. Tale risoluzione era stata effettuata tramite dimissioni volontarie con preavviso, formalmente presentate il 15 gennaio 2015, ma con decorrenza dal 1° maggio 2015.
In ragione del rigetto del ricorso, la Corte territoriale abruzzese aveva sollevato l’eccezione dell’intervenuta prescrizione del diritto per le ferie accumulate fino a luglio 2005. Per quanto, invece, concerne le ferie residue, precisava che attraverso le dimissioni volontarie, il lavoratore aveva effettivamente rinunciato alle ferie non ancora prescritte, ammontanti a 92 giorni. Ciò in ottemperanza al divieto di monetizzazione imposto dalla legge n. 135/2012. In particolare, in tale circostanza, si fa riferimento a un caso disciplinato dall’art. 5, comma 8, della suddetta legge, relativo ad una vicenda estintiva del rapporto di lavoro cui lo stesso lavoratore aveva contribuito “volontariamente” mediante le dimissioni.
Il Collegio giudicante della Suprema Corte si distingue per la propria opinione rispetto ad un parere divergente. A suo avviso, nell’attuale contesto, è opportuno mantenere la coerenza con l’orientamento precedentemente espresso.
Tale orientamento, inoltre, si allinea con la necessità di interpretare il diritto interno conformemente ai principi sanciti dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Approccio, questo, in sintonia con la decisione della Cassazione, Sezione L, nella sentenza numero 21780 dell’8 luglio 2022.
Secondo quanto enunciato in detta sentenza, la privazione del diritto alle ferie e alla corrispondente indennità sostitutiva al termine del rapporto di lavoro può avvenire solo a condizione che il datore di lavoro dimostri di aver invitato il dipendente a fruire delle ferie, eventualmente in maniera formale.
Al contempo, il datore di lavoro deve informare il lavoratore in modo accurato e tempestivo, garantendo che l’opportunità di godere delle ferie sia ancora valida per garantire il necessario riposo dal servizio. In caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.
Nella presente controversia, la Corte territoriale ha specificamente escluso che la ASL avesse soddisfatto l’onere probatorio a proprio carico. Vale a dire dimostrando di aver operato con la massima diligenza per consentire al dipendente di beneficiare delle ferie maturate. Al contempo, poi, aveva commesso un’inesattezza nel ritenere che il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie dovesse essere escluso in virtù delle dimissioni del dipendente. Tale atto volontario, è stato, infatti, erroneamente considerato dal giudice di appello come implicita accettazione delle conseguenze derivanti dall’estinzione del rapporto di lavoro, compresa la perdita delle ferie accumulate.
I giudici di legittimità hanno chiarito che il divieto categorico di erogare compensi finanziari sostitutivi ha come obiettivo principale contrastare possibili abusi, senza arrecare danno al dipendente non responsabile della situazione. In tal senso hanno, pertanto, sottolineato che non è possibile automaticamente associare alle dimissioni volontarie del lavoratore un valore di rinuncia all’indennità sostitutiva delle ferie. Difatti, le dimissioni, considerate come un atto volontario, sono equiparate dalla normativa (art. 5, co. 8, DL 6 luglio 2012 n. 95) alle altre modalità risolutorie del rapporto di lavoro, senza implicare una rinuncia automatica all’indennità sostitutiva delle ferie.