Nei giorni scorsi ha destato molto scalpore la notizia della decisione della Corte di Giustizia UE che ha stabilito che le ferie annuali retribuite sono un diritto fondamentale del lavoratore del settore pubblico e non possono essere negate o limitate in caso di cessazione del rapporto di lavoro, anche in caso di dimissioni.
Le ferie sono un diritto inalienabile e vanno o fruite regolarmente o monetizzate. Tra l’altro, nel caso della monetizzazione non si tratta di un credito di natura retributiva ma risarcitoria, con la conseguenza che la prescrizione del credito stesso è decennale.
In realtà una giurisprudenza numerosa e costante ha sempre riconosciuto il diritto alla monetizzazione e, a ben vedere, quello che hanno affermato i Giudici europei la afferma da anni la Cassazione. Da ultimo, la Suprema Corte è arrivata anche a riconoscere il diritto anche a chi le ferie in pratica le autogestisce, cioè i dirigenti apicali (Corte di Cassazione, sez. lavoro, ordinanza n. 18140 del 6.6.2022). E’ opportuno rammentare che le pronunce della CGUE hanno efficacia retroattiva e valore erga omnes perché ad esse si affida, più che una semplice statuizione sul caso concreto, una interpretazione autentica del diritto dell’Unione.
Con la sentenza della CGUE, anche gli ultimi dubbi sono svaniti e il principio è che le ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico non possono mai vanificare il diritto alle ferie. Il lavoratore ha il solo onere di provare di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà. A quest’ultimo proposito, il datore di lavoro ha l’obbligo di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto.