Lo scorso 26 aprile è stata pubblicata la notizia relativa a una pronuncia della Corte di Cassazione che avrà probabilmente molte conseguenze anche per il personale del Ssn. L’ordinanza non è recentissima, ma la sua diffusione sta prendendo piede e già alcuni sindacati iniziano a predisporre vertenze in tal senso. Le conclusioni della Suprema Corte sono state evidenziate molto bene nell’articolo richiamato, sia per ciò che concerne la Direttiva Europea 2003/88/CE e il suo recepimento nell’ordinamento italiano, sia per la nozione europea di “retribuzione”. L’ordinanza del luglio 2023 riguardava un contenzioso tra alcuni macchinisti e la società Trenord – quindi lavoratori del settore privato – e può essere interessante contestualizzare i contenuti emersi all’interno dei contratti collettivi della Sanità pubblica. Non è, infatti, così scontato che il principio affermato dalla Cassazione sia interamente reversibile nel pubblico impiego, quanto meno si dovrebbe analizzare e approfondire la nozione europea di “retribuzione” alla luce dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. 165/2001, laddove si prescrive che “le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese”.
Riepilogando il quadro vigente, attualmente per la Sanità pubblica la materia della retribuzione feriale è disciplinata nel seguente modo:
– per il Comparto: l’art. 49, comma 1, del Ccnl del 22.11.2022 stabilisce che la retribuzione spettante durante le ferie è quella individuata dall’art. 94, comma 2, lettera c). In altre parole, la “Retribuzione individuale mensile” che è costituita dalla retribuzione base mensile, dalla Ria, dall’indennità di funzione, da quella di qualificazione professionale e da altri eventuali assegni personali o indennità in godimento a carattere fisso e continuativo. Sono esclusi tutti gli altri emolumenti connessi alle condizioni di lavoro “ad evento” che rientrano invece nel concetto di “retribuzione globale di fatto”;
– per l’Area della dirigenza sanitaria: l’art. 32, comma 1, fa anch’esso riferimento alla “Retribuzione individuale mensile” di cui all’art. 59, comma 2, lett. c), di contenuto del tutto omologo a quella del Comparto, con la sola differenza che viene qui inclusa la retribuzione di risultato;
– per la dirigenza Pta: in realtà l’art. 16 del Ccnl del 17.12.2020 non specifica nulla in particolare, plausibilmente per la diversa struttura della retribuzione di questi dirigenti per i quali non sono previsti emolumenti legati alle condizioni di lavoro.
Alla luce della ordinanza della Cassazione, si dovrebbe quindi ritenere che le due clausole sopra richiamate siano illegittime o, più precisamente, non conformi alla normativa comunitaria. Tutto ciò porta peraltro a una riflessione. I contratti collettivi del 2022 e 2023 sono stati autorizzati dal Comitato di settore, hanno acquisito il parere del Mef e la certificazione positiva della Corte dei conti: come è possibile che nessuno si sia accorto di questa illegittimità? Tra l’altro il Ccnl della dirigenza sanitaria è stato esaminato quando l’ordinanza di cui si sta parlando era già stata pubblicata. Allora bisogna prendere atto che i severi controlli successivi alla stipula della Preintesa – che durano mediamente 4/5 mesi – individuano, a volte in modo ossessivo, soltanto eventuali costi eccedenti ma non le illegittimità che potrebbero, comunque, generare costi aggiuntivi e non previsti. E qui si innesta una ulteriore considerazione, nel senso che le aziende sanitarie si troveranno a subire costi notevoli senza alcuna diretta responsabilità. Mi spiego meglio. Gli uffici aziendali hanno sempre applicato – e ritengo che continueranno ad applicare – il trattamento economico durante le ferie così come viene previsto dalle due clausole in questione. Il loro comportamento è del tutto corretto fino a quando un giudice non avrà formalmente disapplicato gli artt. 49 e 32. Le probabili sentenze di condanna causeranno sopravvenienze passive a carico dei bilanci dovute non a colpe o errori degli uffici ma per un vizio di legittimità originario della norma violata del tutto estraneo alle decisioni assunte dagli uffici stessi. Situazione ben diversa da quella in cui la azienda sanitaria sbaglia, intenzionalmente o meno, ad applicare una norma contrattuale. Per una azienda sanitaria – e, soprattutto per il suo bilancio – una cosa è essere condannati per errori propri, tutt’altra cosa è sopportare conseguenze negative a causa di presunti errori di qualcun altro. Il caso della retribuzione feriale è del tutto similare a quello dei buoni pasto per i turnisti e, per certi tratti, a quello della monetizzazione delle ferie. Tutte situazioni nelle quali le aziende hanno correttamente applicato le norme legislative e contrattuali ma si sono trovate soccombenti in giudizio con costi enormi, ad oggi nemmeno lontanamente ipotizzabili. Questo scenario è profondamente ingiusto per le aziende e gli uffici che lavorano bene e rischia di dare una spallata definitiva alle criticità finanziarie della Sanità pubblica.
Eppure, il vigente ordinamento giuridico prevede una soluzione per eventi del genere i quali, oltre ad avere un impatto finanziario notevole, vanificano tutto il sistema di controllo del costo del lavoro pubblico. Si tratta di una questione che non può che essere risolta da un intervento chiarificatore a livello legislativo (e non interpretativo), ricorrendo alla procedura prevista dall’art. 61, comma 2, del d.lgs. 165/2001. Questa norma – credo mai utilizzata – stabilisce che “le pubbliche amministrazioni che vengono, in qualunque modo, a conoscenza di decisioni giurisdizionali che comportino oneri a carico del bilancio, ne danno immediata comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, al ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica” per consentire il rifinanziamento della norma oggetto dell’intervento giudiziario. Il principio alla base della disposizione richiamata è molto semplice: se i contratti collettivi devono essere rinnovati secondo un predefinito e rigoroso indice inflattivo e i controlli previsti devono garantire il continuo monitoraggio del costo del contratto, quando una decisione giurisdizionale annulla o disapplica una clausola contrattuale in favore dei dipendenti, i quadri di finanza pubblica vengono inevitabilmente alterati. Per tale motivo deve intervenire il Parlamento per ripristinare l’equilibrio finanziario connesso alla contrattazione collettiva.