Ricca, la ricostruzione delle sentenze più rilevanti emesse nel 2023 e contenute nel volume II della rassegna del massimario della Suprema Corte di Cassazione in materia di pubblico impiego, aventi immediato impatto in ambito sanitario.
Di seguito le sentenze più importanti in materia che risultano segnalate.
Conferimento incarichi e risoluzione del rapporto di lavoro
In materia di dirigenza medica, Sez. L, n. 11574/2023, ha puntualizzato che il conferimento di incarico di direzione di struttura semplice, di alta professionalità, studio, ricerca, ispettivo, di verifica e controllo ai dirigenti che abbiano superato il quinquennio di attività con valutazione positiva da parte del collegio tecnico è condizionato all’esistenza di posti disponibili (secondo l’assetto organizzativo dell’ente fissato dall’atto aziendale), alla copertura finanziaria, oltre che al superamento delle forme di selezione regolate dalla contrattazione collettiva.
Sempre in tema di dirigenza medica, la sentenza Sez. L, n. 09207/2023, ha precisato che gli incarichi di direttore di struttura complessa devono essere rinnovati per iscritto, a pena di nullità, all’esito della valutazione professionale richiesta, allo scadere dei medesimi, dall’art. 15 d.lgs. n. 502 del 1992.
Inoltre, la stessa sentenza osserva, che il suddetto articolo, prevede al comma 5, per la parte che qui rileva, che i dirigenti medici e sanitari sono sottoposti a una verifica annuale correlata alla retribuzione di risultato, nonché a una valutazione al termine dell’incarico, attinente alle attività professionali, ai risultati raggiunti e al livello di partecipazione ai programmi di formazione continua, effettuata dal Collegio tecnico, nominato dal direttore generale e presieduto dal direttore di dipartimento, con le modalità definite dalla contrattazione nazionale. Degli esiti positivi di tali verifiche si tiene conto nella valutazione professionale allo scadere dell’incarico. L’esito positivo della valutazione professionale determina la conferma nell’incarico o il conferimento di altro incarico di pari rilievo, senza nuovi o maggiori oneri per l’azienda.
La sentenza Sez. L, n. 19739/2023, ha evidenziato che, in tema di dirigenza sanitaria, la risoluzione di diritto del rapporto di lavoro del direttore amministrativo della ASL, in ragione dell’avvenuta decadenza dall’incarico del direttore generale, ai sensi dell’art. 15, comma 5, secondo periodo, della legge reg. Calabria n. 11 del 2004, è illegittima, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 2023, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo in questione.
Trattamenti retributivi
Quanto al profilo dei trattamenti retributivi dei dirigenti medici, la Sez. L, n. 32557/2023, ha chiarito che ove non sia stata fatta tempestiva applicazione delle regole per la riduzione dei fondi contrattuali, prevista dall’art. 9, comma 2-bis, del d.l. n. 78 del 2010, conv. con modif. dalla l. n. 122 del 2010, l’operazione rideterminativa ex post va compiuta nel modo che segue:
1) innanzitutto, va effettuato il ricalcolo del fondo con cristallizzazione nell’importo corrispondente a quello dell’anno 2010;
2) successivamente, l’importo così ricalcolato va riproporzionato in conseguenza della riduzione del numero dei dirigenti cessati dal servizio;
3) infine, occorre procedere alla suddivisione dell’ammontare complessivo delle risorse per i trattamenti accessori, come cristallizzato e riproporzionato, per il numero dei dirigenti in servizio in ragione della graduazione; ne consegue che, qualora le somme percepite dai dirigenti siano superiori a quanto ad essi spettante in virtù del ricalcolo così effettuato, occorrerà detrarre dal percepito il minor importo spettante, così individuando, per ciascun dirigente medico, gli importi da restituire.
In tema di indennità di premio di fine servizio in favore dei direttori generali, amministrativi e sanitari delle aziende sanitarie pubbliche, il relativo importo va calcolato sulla base della retribuzione in concreto corrisposta, nei limiti del massimale stabilito dal combinato disposto dell’art. 3-bis, comma 11, d.lgs. n. 502 del 1992 e dell’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 181 del 1997, da intendersi come importo massimo da considerare nella base di calcolo di cui all’art. 4, comma 1, l. n. 152 del 1968 e non come limite assoluto in numerario (così anche Sez. L, n. 36055/2023).
Le azioni di recupero della PA nei confronti del dipendente
La Sez. L, n. 24807/2023, ha affermato che nel caso di revoca dell’assegno ad personam previsto da un contratto collettivo integrativo aziendale in contrasto con i contratti nazionali, la pubblica amministrazione ha il diritto di ripetere gli importi già erogati ai lavoratori, aventi carattere di indebito, dovendosi, peraltro, escludere l’illegittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c., riletto alla luce della giurisprudenza della CEDU, posto che, come chiarito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 8 del 2023, l’ordinamento nazionale delinea un quadro di tutele dell’affidamento legittimo sulla spettanza di una prestazione indebita, il cui fondamento va rinvenuto nella clausola generale di cui all’art. 1175 c.c. che, vincolando il creditore a esercitare la sua pretesa tenendo in debita considerazione la sfera di interessi del debitore, può determinare, in relazione alle caratteristiche del caso concreto, la temporanea inesigibilità del credito, totale o parziale, con conseguente dovere del creditore di accordare una rateizzazione del pagamento in restituzione.
Nella specie, la Suprema Corte ha negato l’inesigibilità del credito, non avendo i ricorrenti allegato alcunché in merito alle loro condizioni personali e alle modalità di restituzione dell’indebito a loro fissate dalla datrice di lavoro, né, quindi, sull’eventuale eccessivo disagio economico da sopportare per fare fronte all’obbligo restitutorio.
Indennità di posizione e di risultato
La sentenza Sez. L, n. 07110/2023, sullo specifico tema dell’indennità di posizione, ha chiarito che, in tema di dirigenza medica, l’obbligo della P.A. di attivare e completare il procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi non viene meno né per il mancato rispetto dei termini endoprocedimentali relativi alla fase di consultazione sindacale, né per l’omessa conclusione delle trattative, ma la sua violazione non legittima il dirigente medico interessato a chiedere l’adempimento di tale obbligo, bensì a domandare giudizialmente il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione, allegando la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento del datore di lavoro, sul quale grava l’onere di provare i fatti estintivi o impeditivi della pretesa oppure la non imputabilità dell’inadempimento.Con la stessa pronunzia è stato affermato che il danno subito dal dirigente medico della sanità pubblica per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione (conseguente all’inottemperanza della P.A. all’obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi) è suscettibile di liquidazione equitativa quando il dipendente allega l’esistenza del pregiudizio e fornisce, anche mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità, la prova dei suoi elementi costitutivi e, cioè, di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale.
In tema di criteri per la determinazione del fondo della retribuzione di risultato del personale dirigente sanitario non medico, di cui all’art. 61, comma 2, lettera a) del c.c.n.l. del 5 dicembre 1996, per “quote storiche”, spettanti a ciascun ruolo, si intendono quelle determinate sulla base degli accordi regionali vigenti in ciascuna azienda immediatamente prima dell’applicazione del citato art. 61, in quanto l’espressione “quote storiche”, come confermato anche dall’interpretazione autentica della norma ad opera del c.c.n.l. 12 luglio 2001, sta ad indicare le quote come “originariamente determinate ai sensi degli artt. 57 e ss. del d.P.R. n. 384 del 1990”, nel regime pubblicistico, in epoca anteriore alc.c.n.l. 1994-1997, e prima del passaggio al nuovo sistema, quindi anche in attuazione degli accordi regionali (così Sez. L, n. 18379/2023).
Attività intramuraria
Sul tema dell’attività libero professionale intramuraria dei dirigenti medici sono intervenute tre pronunzie significative.
La sentenza Sez. L, n. 13391/2023, ha affermato che l’attività libero professionale intramuraria può essere svolta e retribuita solo in presenza di idonea convenzione o accordo stipulati in forma scritta tra ente e dirigente, restando esclusa la possibilità di una prestazione intramuraria di fatto.
Secondo Sez. L, n. 35056/2023, il dirigente medico assunto a tempo indeterminato in regime di esclusività è titolare di un diritto soggettivo allo svolgimento di attività libero-professionale intramuraria, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva, con la conseguenza che grava sull’Azienda sanitaria l’obbligo di adottare tempestivamente tutte le iniziative necessarie per consentire la realizzazione delle condizioni al cui verificarsi l’esercizio dell’attività medesima è subordinato.L’inadempimento dell’Azienda legittima il predetto dirigente a chiedere il risarcimento del danno e la relativa azione è regolata dagli ordinari principi in tema di riparto degli oneri di allegazione e prova.
Infine, la Sez. L, n. 27883/2023, ha puntualizzato che in tema di determinazione delle tariffe per l’attività libero professionale intramuraria svolta dai dirigenti medici, le Aziende sanitarie possono applicare la trattenuta di cui all’art. 1, comma 4, lett. c), secondo periodo, della l. n. 120 del 2007, come modificato dal d.l. n. 158 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 189 del 2012, solo previo accordo in sede di contrattazione collettiva aziendale ed intesa con i dirigenti interessati successivi all’introduzione della norma citata, per la cui definizione le parti devono, nel rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede, sollecitamente attivarsi, al fine di consentire la piena operatività della trattenuta e la realizzazione delle finalità pubbliche a cui è destinata.