Roma, 6 settembre 2022 – La crisi profonda che attraversa attualmente la sanità pubblica, in preda a carenze di risorse umane ed economiche, spinge le Organizzazioni sindacali della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria a fare fronte comune chiedendo alle forze politiche impegnate nella campagna elettorale un chiaro impegno in difesa del loro lavoro e del loro ruolo a garanzia di un diritto costituzionale dei cittadini.
A seguire e in allegato, il “Manifesto per la nuova sanità” dell’intersindacale della dirigenza medica e sanitaria “Uniti per la sanità” (ANAAO ASSOMED – CIMO-FESMED (ANPO, ASCOTI, CIMO, FESMED) – AAROI-EMAC – FASSID (AIPAC-AUPI-SIMET-SINAFO-SNR) – FP CGIL MEDICI E DIRIGENTI SSN – FVM Federazione Veterinari e Medici – UIL FPL COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE AREE CONTRATTUALI MEDICA, VETERINARIA SANITARIA CISL MEDICI).
Manifesto per la nuova sanità
Le Organizzazioni sindacali, in rappresentanza di 120.000 medici, veterinari e sanitari dipendenti chiedono alle forze politiche di impegnarsi in difesa del Servizio Sanitario pubblico e nazionale, del ruolo dei medici e dei dirigenti sanitari al suo interno, del valore del suo capitale umano.
Il ridimensionamento dell’intervento pubblico, la china avviata verso la privatizzazione, la carenza strutturale di medici specialisti, il peggioramento delle loro condizioni di lavoro, le fughe verso la quiescenza e lidi professionali diversi dalla dipendenza pubblica, mettono a rischio la sopravvivenza del servizio sanitario a 45 anni dalla sua nascita.
Esiste un’emergenza ospedali – con Pronto soccorso allo stremo, liste d’attesa infinite ed un continuo ricorso alle soluzioni estemporanee più fantasiose per tappare le falle di una nave che sta affondando -, ed esiste un’emergenza territorio, che la riforma finanziata con i fondi del PNRR rischia di non riuscire a risolvere, in assenza di ulteriori investimenti a regime. Emergenze che tuttavia stentano a comparire tra gli interventi prioritari promessi dai partiti politici nella campagna elettorale in corso.
Eppure, la tempesta della pandemia Covid-19 è stata perfetta, non risparmiando nessuna delle fragilità del nostro SSN e del nostro sistema Paese. Ha retto, almeno in una prima fase, la cultura civile delle comunità ed il lavoro di quanti sono rimasti, in primis medici e professionisti sanitari, in quelle trincee che non potevano essere abbandonate, pagando prezzi durissimi.
Il virus ha funzionato da acceleratore di fenomeni esistenti cambiando radicalmente, e forse definitivamente, lo scenario in cui ci muoviamo.
Oggi emerge la necessità di ricostruire un ambiente politico, sociale e culturale nel quale la tutela della salute come di tutto il sistema di welfare siano considerati fattori di produzione di ricchezza collettiva, nella misura in cui lo stato di salute e di benessere fisico e psichico di una popolazione correlano direttamente con lo sviluppo sociale e culturale di un Paese. Senza tacere gli effetti sull’economia, per la mole di Pil che tutto ciò che ruota intorno al mondo della salute muove in settori strategici e avanzati del nostro sistema produttivo (farmaci, device, ricerca, biotecnologie, robotica, digitalizzazione, etc). Possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che la cattiva tutela della salute di una comunità ne pregiudica lo sviluppo, in termini civili ed economici.
La sanità pubblica, equa, solidale e universalistica produce e non consuma ricchezza. La ricostruzione economica e sociale post Covid-19, tra crisi energetica e conseguenze della guerra in Europa, non deve farla slittare in basso nell’agenda delle priorità, considerandola un oneroso capitolo di spesa del bilancio pubblico, a dispetto della sua mission di presidio di diritti fondamentali di ciascuno e di tutti.
I dati dimostrano che l’Italia è fanalino di coda per quanto riguarda la spesa sanitaria in Europa, per valori pro-capite a parità di potere d’acquisto (nel 2019 pari a 2.473 euro, a fronte di una media Ocse di 2.572 euro) con un gap vertiginoso rispetto a Paesi di riferimento come Francia e Germania. Per quanto riguarda la percentuale sul Pil, l’Italia si pone invece leggermente sopra la media Ocse con una percentuale complessiva di 6,6%, lontana mille miglia da Germania (11,7% del suo Pil) e Francia (11,2%).
Dopo la pandemia niente è cambiato. Continua la fuga dei medici dagli ospedali, continua la sofferenza del personale medico e sanitario, continua la sofferenza dei pazienti che non trovano risposte alle richieste di cure in un sistema vicino al collasso, senza differenze di latitudine.
Le Organizzazioni sindacali della Dirigenza Medica e Sanitaria ritengono che siamo di fronte a un processo di consunzione della sanità pubblica, certificata dalla crisi dei Pronto Soccorso affollati di pazienti e deserti di medici, alla quale serve un approccio di sistema che riconosca la medicina di prossimità e quella ospedaliera come due facce della stessa medaglia e un sostanziale cambio di paradigma culturale, politico e organizzativo per invertire le curve di caduta della qualità e del consenso sociale.La sostenibilità del servizio sanitario passa per la valorizzazione, l’autonomia e la responsabilità dei suoi professionisti. Perché parlare di sanità significa parlare di lavoro in sanità e parlare di lavoro significa parlare di capitale umano.
È questo il passaggio necessario per chiunque abbia a cuore il presente e il futuro della più grande infrastruttura civile e sociale che questo Paese abbia costruito.
Per i medici, i veterinari e i dirigenti sanitari del SSN, tramontata la retorica, occorrono nuove risorse a loro dedicate, a partire dalla prossima Legge di Bilancio, e interventi legislativi che valorizzino il loro ruolo, finalizzati a:
1. superare la politica dei tetti di spesa al personale; attuare forti politiche di assunzioni che recuperino i tagli del passato, escludendo il precariato, eterno e non contrattualizzato, come ci chiede la stessa UE;
2. migliorare le condizioni del lavoro nel SSN in un sistema che privilegi i valori professionali rispetto a quelli economicistici e aziendali;
3. riportare all’interno dell’inquadramento professionale del CCNL della Dirigenza del SSN il reclutamento di personale medico e sanitario, che negli ultimi anni sta subendo una inaccettabile e regressiva sostituzione con prestazioni privatistiche acquistate a cottimo, con una distorsione evidente del mercato del lavoro;
4. riformare lo stato giuridico della dirigenza medica e sanitaria, nel segno della dirigenza “speciale” delineato dall’articolo 15 del D.lgs 229/99 rafforzandone l’autonomia sia sotto il profilo professionale che gestionale, valorizzando la peculiarità della funzione svolta a tutela di un diritto costituzionale, anche attraverso forme di partecipazione ai modelli operativi;
5. aumentare le retribuzioni, detassando gli incrementi contrattuali e il salario accessorio, come già avviene nella sanità privata e in alcune categorie del pubblico impiego come gli insegnanti; prevedere per il rischio contagio una apposita indennità; abrogare il famigerato art. 23, comma 2 del decreto 75/2017, cosiddetto “Madia”, che pone un tetto al salario accessorio;
6. introdurre il contratto di formazione lavoro per i medici specializzandi (che si ricorda essere medici e sanitari già abilitati ad un esercizio professionale inquadrabile in un ruolo lavorativo dirigenziale e non studenti) e avviare un processo di riforma della formazione post-laurea, divenuta vera emergenza nazionale;
7. completare la legge sulla responsabilità professionale con il passaggio ad un sistema “no fault” sul modello europeo, superando l’eccezionalità dello “scudo Covid”;
8. rispettare la tempistica e la esigibilità a livello periferico del CCNL cambiando l’impianto della indennità di vacanza contrattuale.